Volkswagen, la caduta del mito tedesco che fa scendere Angela Merkel dall’Olimpo
Se la Grecia ha truccato i conti dei suoi bilanci, la Germania ha truccato le macchine e ha inquinato l’ambiente. L’equazione è a furor di popolo. Anzi di popoli. La reputazione è un valore aggiunto. Se cade, è un macigno che rischia di far traballare un Paese intero. Tanto più che il caso Vw è solo il più clamoroso di una lunga serie
Ah, la sublime arte della manipolazione alemanna! Chissà se Der Spiegel sbatterà in copertina un bel piatto di wurstel e crauti mettendo al posto della senape un gustoso modellino diVolkswagen, o se userà il cliché del Barone di Münchausen, il re dei contaballe, mostrandolo a cavalcioni di una Volkswagen, invece della celebre palla di cannone, mentre viene sparato nientepodimeno che sulla Luna. Lo dovrebbe. Almeno per coerenza. Nel luglio del 1997 il settimanale di Amburgo volle dire la sua sull’Italia con la choccante foto del piatto di spaghetti condito da una pistola. Poi toccò alla Spagna, sull’orlo dell’abisso. E laGrecia, povera derelitta. Per anni, gli austeri maestrini tedeschi ci hanno bacchettato a noi europei del Sud spendaccioni e furbastri. Cicale e Maggiolini. Loro onesti, noi furbi. Loro economicamente corretti. Noi sempre al di sopra dei nostri mezzi. Austeritaten über alles! La severità ed intransigenza luterana contro l’ipocrisia cattolica, prima pecchi e poi tanto c’è il perdono, basta una piccola penitenza…
Beh, qualche affinità con le madornali e mirabolanti avventure raccontate dal Barone di Münchausen la Volkswagen che impersonava la granitica certezza del German engineering – mito dell’indiscutibile primato ingegneristico tedesco molto in voga nel pianeta anglosassone – ce l’ha, eccome ce l’ha. Per esempio, ha basato per decenni gran parte delle sue campagne promozionalisulla fiducia e la verità, instaurando una sorta di complicità col consumatore, un legame che coinvolgeva cuore e testa. La Volkswagen “parla chiaro”. Sottinteso: gli altri no. Ci sono spot che oggi stanno spopolando sul web tanto sono ridicoli, rivisti col senno di poi. In uno la protagonista è una distinta e anziana signora che cerca di vendere la sua auto a un giovane, prudentemente accompagnato dal padre per evitare – ovviamente, non si sa mai – qualche brutta sorpresa. I due alla fine la comprano, dopo un intenso scambio di occhiate tipo per un dollaro d’onore con l’anziana donna: “Potete dubitare delle vecchie signore. Ma potete fidarvi di tutte le Golf”. Specie quelle a diesel: non ammorbano l’atmosfera perché noi della Volkswagen siamo i migliori. BlueMotion Polo. Nobody’s perfect, altro slogan per convincere che tuttavia, i prodotti Volkswagen puntano alla perfezione. E alla possibilità che tu ne possa fruire. Senza fatica. Think small. Pensa piccolo per avere grande. La Grande Germania: per la quale l’auto rappresenta il 20 per cento dell’export tedesco e il 14 per cento del Pil. Rappresenta o rappresentava?
Mai come in queste ultime ore Angela Merkel viene descritta così tanto a disagio, angustiata, preoccupata. Al vertice di Bruxelles per l’emergenza rifugiati è apparsa stanca, poco incisiva. Non ha nemmeno replicato alle solite invettive di Viktor Orban che ha detto: “Quello della Merkel è imperialismo morale”. Gli stessi suoi compatrioti cominciano ad essere delusi da lei, un sondaggio del 23 settembre le dava infatti il 49 per cento di popolarità. Il minimo, dall’inizio dell’anno. Lo scandalo – “crepuscolo di un’icona”, titolaLe Monde – rimette in causa il modello di cogestione alla tedesca di cui la Vw era l’emblema. La descrivono pallida, non più sicura e determinata come prima. Per forza. Proprio all’apice della sua canonizzazione politica ed etica – pensate alla vicendamigranti, agli estenuanti bracci di ferro con Putin – nel giorno stesso in cui avrebbe dovuto festeggiare il decennale della sua vittoria elettorale (il 18 settembre 2005) che le avrebbe fatto conquistare la carica di Cancelliere del Paese più importante d’Europa, le è arrivata dagli Stati Uniti una bordata che dire devastante è minimizzare. Perché la Volkswagen è più di un grande gruppo industriale, “Volkswagen è la Germania”, ha detto Gitta Connemann, influente deputata Cdu. Lo ha del resto sottolineatoSpiegel online: “Non sono i miliardi di multa che minacciano la Volkswagen, bensì il danno d’immagine (…) La giustizia americana segue una linea molto dura per combattere la criminalità economica”. Il vulnus è di proporzioni inaudite (come le avventure del Barone di Münchausen…) che non soltanto colpisce l’azienda di Wolfsburg ma la Germania intera e la sua credibilità planetaria. Piglia di mira la sua spocchia da prima della classe. Da imbrogliona come coloro che disprezzava. Altro che ruolo di “grande accusatore”, come ricorda Angelo Bolaffi. Adesso la Germania della Vw magliara si ritrova sullo stesso banco degli accusati “nello stesso giorno in cui Tsipras ‘il grande accusato’ (e con lui la Grecia) sembra forse esserne uscito. Insieme allo sconcerto per la rivelazione quasi epifanica della Grande Truffa, si cela la gioia maligna di chi ha subito gli strali dei supponenti leader germanici…
Persino la cancelliera è indirettamente coinvolta, come ha accusato il quotidiano Frankurter Rundschau, uno dei pochi giornali tedeschi a non avere circoscritto lo scandalo al mondo dell’industria automobilistica: “Angela Merkel da anni si posiziona come lalobbista in capo dei costruttori tedeschi d’auto. Il suo ministro dei Trasporti brilla per la febbrile attività di questi giorni e ciò avviene da anni, il suo ministero deve sapere che i costruttori imbrogliano sistematicamente sulle informazioni tecniche delle loro auto rispetto ai consumi e alle emissioni. Idem per il ministro-presidente della Bassa Sassonia dove si trova la sede della Vw. Il Land è il secondo azionista del gruppo. Nulla si fa alla VW senza il suo consenso”. Se la Grecia ha truccato i conti dei suoi bilanci, la Germania ha truccato le macchine e ha inquinato l’ambiente. L’equazione è a furor di popolo. Anzi di popoli. La reputazione è un valore aggiunto. Se cade, è un macigno che rischia di far traballare un Paese intero. Dirty secrets of the car industry, titola l’ultimo The Economist. E per i tedeschi e gli americani la menzogna è un’aggravante particolarmente condannabile.
Adesso che il vaso di Pandora è scoperchiato e che le connivenze mediatiche – la pubblicità delle quattroruote è fondamentale per giornali e tv – sono state smascherate (da anni c’era chi inutilmente denunciava le sopercherie ma veniva ignorato: penso al rapporto“Mind the Gup! Why official car fuel economy figures don’t match up to reality” del 2013 di Transport&Environment, l’organizzazione europea che si occupa di sostenibilità ambientale dei trasporti), abbiamo l’effetto Domino. Vi siete dimenticati del casoGermanwings (gruppo Lufthansa)? Il 24 marzo scorso un suo Airbus A320 precipitò in Francia, causando la morte di 150 persone. Per un raptus di follìa suicida del copilota Andreas Lubitz. Allora furono messi sotto accusa i test della compagnia. Vogliamo parlare del Berlin Brandenburg Flughafen? Dovevano aprirlo nel 2012. I tecnici scoprirono che i sistemi antincendio erano insufficienti. Dopo, fu la volta dei banchi del check-in ad essere insufficienti. Indi toccò al tetto della sala principale: non in grado di sopportare il peso e le sollecitazioni dei condizionatori. Comunque, avevano promesso di inaugurarlo a metà del 2016. Promessa rimangiata. Sarà aperto nel 2017: forse. Intanto i costi sono lievitati, passando da 3 a 6 miliardi di Euro. Tra sospetti di corruzione e pessima progettazione: “un aeroporto con 150mila difetti”, hanno scritto i giornali tedeschi. Se lo dicono loro…
Già, corruzione. Se i Greci erano corrotti, come sbraitavano in Germania, c’era chi doveva corromperli. I tedeschi. Siemens, Daimler, Rheinmetall – fu Business Insider Uk a fare una rassegna circostanziata dei maggiori casi di corruzione – sono oggetto di inchieste giudiziarie. Secondo i giudici greci, la Siemens ha dispensato mazzette per 70 milioni di euro. Il fascicolo che la riguarda conta 2.300 pagine, l’indagine è durata nove anni. La statunitense CorpWatch – gli americani sono spettatori assai interessati alle vicende tedesche – definì il caso Siemens “il più grande scandalo aziendale della storia greca dal dopoguerra”. In questo, i tedeschi confermano la loro tendenza al gigantismo. Vw ha un gito d’affari annuo di oltre 200 miliardi di euro, è il più grande investitore al mondo in ricerca e sviluppo (ci vuole genio per realizzare il software fregone). Eurointelligence aggiunge che la Vw ha un rapporto consolidato con la politica tedesca. Facile paragonare la sua vicenda con la crisi dei subprime del 2007-2008 e il crack Lehman Brothers. Allora la Casa Bianca decise che la banca andava salvata perché “troppo grande per fallire” (too big to fail). Analogo destino attenderà la Vw. E‘ la sindrome del cigno nero. Con qualche postilla, tanto per capire i veleni del contesto. Intanto, chi acquistava le presunte virtuose vetture diesel taroccate godeva dei bonus statali e europei. Essendo frutto di truffa, dovrebbero essere rimborsati. Andateglielo a dire agli acquirenti … Dulcis in fundo, non è che gli americani si sono vendicati dopo che erano stati beccati loro con le mani nella marmellata, per le intercettazioni telefoniche abusive della Nsa (National Security Agency) fatte ai danni di Angela Merkel e di altri 55 politici tedeschi, come rivelò il sito di Julian Assange? In una telefonata la Merkel criticava il piano del Segretario del Tesoro Usa che aveva posto l’eventualità di sollevare le banche dalla responsabilità per i titoli tossici. In un’altra sosteneva che laCina avrebbe dovuto avere maggiore influenza nel Fondo Monetario Internazionale. È guerra. Senza esclusione di colpi. Muoia Sansonen con tutti i Filistei. Speriamo che noi della Grande Bellezza Mediterranea ce la caviamo
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