L’Islanda è stato il primo Paese ad accusare la crisi economica per il problema dei mutui subprime americani, ma l’Islanda è anche stato il primo Paese a superare questa crisi, ci è riuscita. L’Islanda non ha salvato le proprie banche nel momento in cui sono entrate in crisi di liquidità. Il debito non è stato socializzato. Non è un dogma il fatto che un debito privato diventi un debito pubblico quando il privato fallisce, e questo è stato dimostrato Andrea Degl’Innocenti
"Un saluto a tutti gli amici del blog di Beppe Grillo, mi chiamo Andrea Degl’Innocenti, sono un giornalista e mi occupo della vicenda islandese, sono andato in Islanda a e ho scritto un libro sull’argomento, ho un blogislandachiamaitalia.it. L’Islanda è stato il primo Paese ad accusare la crisi economica per il problema dei mutui subprime americani, ma l’Islanda è anche stato il primo Paese a superare la crisi.
L’Islanda non ha salvato le proprie banche nel momento in cui sono entrate in crisi di liquidità. Operavano su mercati finanziari internazionali e erano paragonabili alla grandezza delle banche internazionali, lo Stato islandese, con una economia relativamente piccola, non era in grado di salvarle, quindi le ha dovute lasciare fallire, ma con il senno di poi si è rivelata una ottima scelta. Gli islandesi sono riusciti a fare cadere un governo corrotto che negli anni aveva portato il Paese sull’orlo del baratro. Avevano liberalizzato tutto il sistema finanziario senza le capacità per gestire quello che avevano creato. C’era una parte del debito accumulato da queste banche verso l’estero, soprattutto verso Inghilterra e Olanda, pratica che ormai è comune quasi ovunque in tutto il mondo. Tutti i profitti delle banche erano privati, il debito accumulato nel momento del fallimento si convertì in debito pubblico. Questa pratica è stata fermata dagli islandesi che con un movimento di partecipazione e con una petizione sono riusciti a bloccare la legge che convertiva il debito e a non pagare il debito, grazie a un referendum che poi è stato indetto dal Presidente della Repubblica.
Un elemento importante che ha consentito all’Islanda di uscire in tempi rapidi dalla crisi economica è una moneta sovrana perché, se da una parte la corona si è svalutata all’improvviso, ha causato problemi, chi aveva mutui, debiti si è trovato sommerso da questi debiti e in grossa difficoltà, dall’altro la svalutazione ha ridato competitività all’economia Islandese in tempi molto rapidi. C’è stato un momento iniziale di rabbia, che ha portato a una sete di giustizia diffusa e ha avuto come conseguenza il processo di molte persone che in vari modi si erano resi colpevoli della crisi. Sono stati resi noti pochi giorni fa i nomi di una ventina di banchieri attualmente sotto processo e che facevano parte del consiglio di amministrazione delle due banche principali islandesi. L’unica condanna definitiva per ora è quella che pende sul capo del primo ministro di allora, condannato per frode. Una delle conseguenze più positive dell’intera vicenda è che poi da questo momento iniziale di rabbia si è riusciti a passare a una seconda fase molto più costruttiva, che ha avuto vari frutti tra cui la riscrittura della Costituzione.
La vecchia Costituzione era un retaggio di quando l’Islanda faceva parte del regno danese e quindi di fatto era la costituzione danese riarrangiata, però non raccontava i valori veri della nazione Islandese, degli islandesi come popolazione, delle loro origini e tradizioni. Quello che si è fatto è riscrivere la Costituzione in modo innovativo e rivoluzionario. Si è cercato di aprire a una fetta sempre più grande di popolazione e si è fatto prima eleggendo una assemblea costituente. Alle elezioni si poteva presentare chiunque. Questa assemblea costituente quando si riuniva trasmetteva le proprie sedute attraverso i social network, attraverso vari strumenti per coinvolgere il più possibile chi non poteva essere di persona. Di fatto anche da casa si poteva inviare spunti, seguire come evolveva la scrittura della Costituzione. Questa Costituzione così bella, così partecipata, non è ancora entrata in vigore perché attende il vaglio definitivo del Parlamento.
L’utilizzo di Internet come strumento di partecipazione è una costante di tutto il caso islandese ed è anche stato messo a sistema. Sono state create leggi ad hoc per rendere internet uno strumento il più libero possibile. Addirittura a una legge, varata nel 2011, ha partecipato lo stesso Julian Assange che ha contribuito insieme a un’attivista Islandese, Birgitta Jonsdottir. Un’eccellenza per la libertà della Rete, di fatto molti attivisti della Rete chiedono asilo all’Islanda quando si trovano in difficoltà.
Si è innescato un cambiamento storico di grossa portata. A livello di popolazione si riesce comunque a percepire questo cambiamento, sia negli stili di vita, sia negli argomenti di cui parla la gente in un bar. E' rimasto un sentire diffuso e delle connessioni tra persone che via via si sono attivate per cambiare le cose e per riprendersi in mano la facoltà di decidere del proprio futuro. Una delle obiezioni che viene fatta al caso islandese è che non è replicabile, perché ci sono delle caratteristiche specifiche dell’Islanda e della popolazione islandese che non appartengono a molti altri Paesi. In Islanda ci sono pochissime persone su un territorio relativamente vasto, ricco di risorse e c’è una cultura diffusa, anche molto all’avanguardia su quanto riguarda la rete internet. Tuttavia ci sono alcuni messaggi che sono già alla base di molti movimenti che, anche da noi, cercano di cambiare le cose. Il concetto di base è riprendersi in mano il potere di decidere sulla propria vita e sulla società in cui viviamo, un potere che ci è sfuggito negli anni, in un periodo in cui ci è stato detto che non era affare nostro decidere della società in cui viviamo, che ci avrebbero pensato altri, che noi dovevamo pensare a noi stessi e basta. Il messaggio di riappropriazione del potere di decidere e della sovranità intesa come idea di partecipazione alla cosa pubblica, l'idea di costruire un percorso collettivo, è il messaggio più bello e anche più universale che si possa cogliere dall’esperienza islandese. Passate parola!"
L’Islanda non ha salvato le proprie banche nel momento in cui sono entrate in crisi di liquidità. Operavano su mercati finanziari internazionali e erano paragonabili alla grandezza delle banche internazionali, lo Stato islandese, con una economia relativamente piccola, non era in grado di salvarle, quindi le ha dovute lasciare fallire, ma con il senno di poi si è rivelata una ottima scelta. Gli islandesi sono riusciti a fare cadere un governo corrotto che negli anni aveva portato il Paese sull’orlo del baratro. Avevano liberalizzato tutto il sistema finanziario senza le capacità per gestire quello che avevano creato. C’era una parte del debito accumulato da queste banche verso l’estero, soprattutto verso Inghilterra e Olanda, pratica che ormai è comune quasi ovunque in tutto il mondo. Tutti i profitti delle banche erano privati, il debito accumulato nel momento del fallimento si convertì in debito pubblico. Questa pratica è stata fermata dagli islandesi che con un movimento di partecipazione e con una petizione sono riusciti a bloccare la legge che convertiva il debito e a non pagare il debito, grazie a un referendum che poi è stato indetto dal Presidente della Repubblica.
Un elemento importante che ha consentito all’Islanda di uscire in tempi rapidi dalla crisi economica è una moneta sovrana perché, se da una parte la corona si è svalutata all’improvviso, ha causato problemi, chi aveva mutui, debiti si è trovato sommerso da questi debiti e in grossa difficoltà, dall’altro la svalutazione ha ridato competitività all’economia Islandese in tempi molto rapidi. C’è stato un momento iniziale di rabbia, che ha portato a una sete di giustizia diffusa e ha avuto come conseguenza il processo di molte persone che in vari modi si erano resi colpevoli della crisi. Sono stati resi noti pochi giorni fa i nomi di una ventina di banchieri attualmente sotto processo e che facevano parte del consiglio di amministrazione delle due banche principali islandesi. L’unica condanna definitiva per ora è quella che pende sul capo del primo ministro di allora, condannato per frode. Una delle conseguenze più positive dell’intera vicenda è che poi da questo momento iniziale di rabbia si è riusciti a passare a una seconda fase molto più costruttiva, che ha avuto vari frutti tra cui la riscrittura della Costituzione.
La vecchia Costituzione era un retaggio di quando l’Islanda faceva parte del regno danese e quindi di fatto era la costituzione danese riarrangiata, però non raccontava i valori veri della nazione Islandese, degli islandesi come popolazione, delle loro origini e tradizioni. Quello che si è fatto è riscrivere la Costituzione in modo innovativo e rivoluzionario. Si è cercato di aprire a una fetta sempre più grande di popolazione e si è fatto prima eleggendo una assemblea costituente. Alle elezioni si poteva presentare chiunque. Questa assemblea costituente quando si riuniva trasmetteva le proprie sedute attraverso i social network, attraverso vari strumenti per coinvolgere il più possibile chi non poteva essere di persona. Di fatto anche da casa si poteva inviare spunti, seguire come evolveva la scrittura della Costituzione. Questa Costituzione così bella, così partecipata, non è ancora entrata in vigore perché attende il vaglio definitivo del Parlamento.
L’utilizzo di Internet come strumento di partecipazione è una costante di tutto il caso islandese ed è anche stato messo a sistema. Sono state create leggi ad hoc per rendere internet uno strumento il più libero possibile. Addirittura a una legge, varata nel 2011, ha partecipato lo stesso Julian Assange che ha contribuito insieme a un’attivista Islandese, Birgitta Jonsdottir. Un’eccellenza per la libertà della Rete, di fatto molti attivisti della Rete chiedono asilo all’Islanda quando si trovano in difficoltà.
Si è innescato un cambiamento storico di grossa portata. A livello di popolazione si riesce comunque a percepire questo cambiamento, sia negli stili di vita, sia negli argomenti di cui parla la gente in un bar. E' rimasto un sentire diffuso e delle connessioni tra persone che via via si sono attivate per cambiare le cose e per riprendersi in mano la facoltà di decidere del proprio futuro. Una delle obiezioni che viene fatta al caso islandese è che non è replicabile, perché ci sono delle caratteristiche specifiche dell’Islanda e della popolazione islandese che non appartengono a molti altri Paesi. In Islanda ci sono pochissime persone su un territorio relativamente vasto, ricco di risorse e c’è una cultura diffusa, anche molto all’avanguardia su quanto riguarda la rete internet. Tuttavia ci sono alcuni messaggi che sono già alla base di molti movimenti che, anche da noi, cercano di cambiare le cose. Il concetto di base è riprendersi in mano il potere di decidere sulla propria vita e sulla società in cui viviamo, un potere che ci è sfuggito negli anni, in un periodo in cui ci è stato detto che non era affare nostro decidere della società in cui viviamo, che ci avrebbero pensato altri, che noi dovevamo pensare a noi stessi e basta. Il messaggio di riappropriazione del potere di decidere e della sovranità intesa come idea di partecipazione alla cosa pubblica, l'idea di costruire un percorso collettivo, è il messaggio più bello e anche più universale che si possa cogliere dall’esperienza islandese. Passate parola!"
Grazie a Piero Ricca per la sua collaborazione
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