subota, 7. veljače 2015.

IL FATTO QUOTIDIANO

ost da Vocidallestero

Pubblichiamo ampi stralci dell’intervista di Der Spiegel allo storico Hans Kundnani, Research Director all’European Council on Foreign Relations e autore di “The Paradox of German Power”, che inquadra storicamente l’attuale “Exportnationalismus” tedesco. Per la lettura dell’intervista integrale (che mostra anche la quasi-incredulità del giornalista, tanto è diverso il sentiment che circola in Germania) si rimanda al Blog di Matteo Thomann, che ringraziamo.
Dall’intervista originale di Oskar Piegsa a Hans Kundnani pubblicata su Spiegel Online del 04/02/2015.
"La storia può aiutarci a capire la situazione attuale. Il dibattito sull’egemonia ha una lunga tradizione. Tra il 1871 e il 1914 la Germania era così grande e forte, che nessun paese poteva controbilanciare il suo potere in Europa. Nello stesso tempo, non era abbastanza potente da essere una potenza egemone e riuscire a imporre la propria volontà su tutti gli altri. Questo era il nucleo della “questione tedesca”: Lo storico Ludwig Dehio ha descritto la posizione della Germania come “halbhegemoniale” (egemonia a metà, ndr). Gli storici tedeschi come Andreas Wirsching e Dominik Geppert sostengono come ora la Germania si trovi in una posizione molto simile. La differenza è che il piano egemonico in Europa non è più geopolitico, ma economico.
[…]Con l’unificazione del 1871 è cresciuto il ruolo della Germania in Europa. Qualcosa di simile è accaduto ora con la riunificazione. Per 40 anni è sembrato che la “questione tedesca” fosse stata risolta grazie alla divisione del paese, ma è tornata viva quantomeno dopo la crisi dell’euro. Questo è dovuto, ora come allora, alle dimensioni della Germania e alla sua posizione centrale in Europa. L’euro si è aggiunto come parte del problema. È stato il desiderio dei francesi e soprattutto di François Mitterrand, quello di limitare il potere tedesco attraverso una moneta comune. Si è invece verificato il contrario: la Germania è diventata più potente proprio grazie all’euro.
[…] Dopo l’impero c’è stato un certo trionfalismo in Germania: Nietzscherappresenta il sentiment dell’epoca, e cioè che nel 1871 la Germania non fosse solo superiore militarmente, ma anche culturalmente. La mia impressione è che, dopo la crisi finanziaria nel 2008 e 2009, in Germania ci sia un nuovo trionfalismo.
Molti tedeschi credono che la crisi finanziaria abbia confermato che il loro modello economico sarebbe superiore a quello anglo-americano. Così è tornata in auge l’idea di un “modello tedesco”. Quasi la metà del prodotto interno lordo della Germania, dipende ora dalle esportazioni. Ci si potrebbe preoccupare del fatto che questo rende la Germania molto vulnerabile e dipendente dalla domanda internazionale. Invece, è diventato una fonte di orgoglio nazionale. Trovo incredibile la naturalezza con la quale alcuni politici tedeschi hanno recentemente parlato di “Nazione esportatrice”. “Economia esportatrice” è il termine che conoscevo. Ma “Nazione esportatrice”? Questo sembra suggerire che le esportazioni non sono solo importanti per l’economia della Germania, ma anche per la sua identità.
Già nel 1990, Jürgen Habermas scriveva del “nazionalismo del marco tedesco”. Secondo la mia opinione, ora si può parlare di un nuovo nazionalismo economico, che rende difficile la soluzione della crisi dell’euro da parte della Germania. Il paese è in un dilemma. Molti economisti ritengono che si possa risolvere la crisi dell’euro solo attraverso un allineamento simmetrico nell’eurozona: i paesi della cosiddetta periferia dovrebbero diventare più competitivi, e la Germania meno. Ma questo non può funzionare proprio perché l’economia tedesca è molto dipendente dalle esportazioni, e vuole mantenere la sua competitività al di fuori dell’Europa. Invece di perseguire una crescita più equilibrata e rafforzare la domanda interna, la Germania ha difeso con il coltello fra i denti il suo surplus delle partite correnti. [..] La disoccupazione è bassa, le esportazioni tedesche hanno molto successo in Europa e nel mondo. E anche la paura tedesca dell’inflazione, che molti stranieri non riescono a capire, non è del tutto ingiustificata in una nazione di risparmiatori. Il problema è che la Germania ha al suo interno degli interessi contrastanti. Si vuole mantenere l’euro – che è ancora l’opinione della maggioranza, nonostante la crescita dell’AfD - ma allo stesso tempo la Germania non è disposta a fare quello che dovrebbe fare per preservarlo. Quindi, introdurre una condivisione del debito – per esempio una forma di eurobonds – e accettare una moderata inflazione, oppure stimolare la domanda interna.
Nel lungo periodo, crescerà la pressione che porterà gli Stati debitori ad unirsi inun’alleanza anti-tedesca e perseguire una politica conflittuale verso la Germania, proprio ciò che temono i tedeschi. E questo è di nuovo un parallelo con la situazione del periodo dopo il 1871: la paura di un “accerchiamento”, con la già menzionata differenza che oggi si tratta di un accerchiamento economico e non geopolitico.
[…] Il crollo dell’eurozona è un rischio devastante per l’economia tedesca, basata così pesantemente sulle esportazioni. È anche ipotizzabile che la Germania continui la sua politica attuale e l’euro venga mantenuto a costo di una permanente fuga dei capitali e di una migrazione del lavoro dalla periferia verso il centro. Il risultato sarebbe un’Europa molto più diseguale e antisociale, con la Germania al centro." da vocidallestero
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